Scrittura & Preghiera |
Salmo 23
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SALMO 23 Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi
mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il
giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare
in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo
bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me
tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio
capo. Il mio calice trabocca. Felicità e
grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella
casa del Signore per lunghissimi anni. Questo salmo è forse il
più famoso e amato fra tutti, ed è stato composto da Davide, "il soave
cantore di Israele". Il salmo lo abbiamo
cantato tantissime volte nella liturgia delle Messe domenicali o feriali, ed
esprime la gioia serena, fiduciosa di un'anima che ha trovato la pace della
mente e del cuore nella sua unione contemplativa con Dio, eppure forse non lo
conosciamo. Nei molti anni in cui
Davide si era preso cura delle pecore, aveva imparato che questi animali
indifesi richiedevano un'attenzione particolare, continua, in una terra dove
le belve selvatiche vagavano liberamente e pecore e agnelli erano facile
preda anche di animali di modeste dimensioni (non scordiamo che stiamo
parlando di un periodo di migliaia di anni fa): così egli ha applicato questa
conoscenza al nostro rapporto con Dio. Ecco perché il salmo 23
è chiamato il "salmo del pastore", perché parla di un pastore, anzi
del Signore sorto a immagine del pastore, e ne sviluppa il simbolo. Non solo, dal v.5 in
avanti è delineata un'altra immagine, quella dell'ospite che invita a cena:
"Davanti a me tu prepari una mensa...". Quindi due sono i
simboli: il pastore e colui che ci invita a cena trattandoci regalmente e
facendoci stare con sé.Tanto da esprimere ottimamente la tensione spirituale,
psicologica, umana e teologica del testo, riassumendo tutto con
un'espressione di grande fiducia: "Tu sei con me". Cerchiamo ora di capire
che cosa in pratica significa. Dopo il titolo, vediamo
di sottolineare i personaggi, i soggetti che agiscono nel testo. Sono due: il
Signore e l'individuo, cioè colui che parla. Le azioni attribuite al Signore sono nove: egli è il mio pastore; mi fa riposare; mi conduce; mi rinfranca; mi guida; è con me; mi dà sicurezza; prepara una mensa; cosparge di olio. Nove designazioni che indicano la cura, la premura, l'attenzione, espresse con metafore, con parabole, con simboli: esse definiscono il Signore come colui che si prende cura di ognuno. Di fronte a questo soggetto principale, c'é l'individuo che afferma di non mancare di nulla, di non temere alcun male, afferma che il calice trabocca; che sente la felicità e la grazia come compagne di vita, che vuole abitare nella casa del Signore. Come possiamo osservare si tratta di un dialogo affettuoso, fiducioso, familiare tra il Signore e l'individuo: che cosa è lui, che cosa fa per ognuno, che cosa gli diciamo. E' una preghiera semplicissima, che non chiede, in pratica nulla, non ringrazia, non loda, ma proprio per questo è ricchissima. Rileggiamo ora le
strofe dal punto di vista delle immagini, come se l'individuo fossimo noi
stessi. Abbiamo già parlato delle due fondamentali: il pastore e l'ospite,
cioè l'immagine del pascolo e l'immagine della convivialità, dell'ospitalità
a mensa. L'immagine del pastore, molto usata nella Bibbia fino al discorso di Gesù sul buon pastore, in Giovanni 10, viene specificata: "su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce". E' la sosta del gregge su pascoli verdi e presso acque tranquille. Chi è stato in pellegrinaggio in Palestina, sa come è difficile trovare un pascolo verde; quindi quando un pastore riesce a scoprirlo, egli è davvero la gioia del gregge; chi ha provato la sete del deserto (siete mai stati nel deserto del Negev?), può comprendere che cosa significa incontrare qualcuno capace di indicare dove c'é una sorgente d'acqua (oggi noi cercheremmo un bar), magari nascosta sotto le pietre. Quindi il pastore del
salmo sa fare sostare il gregge nei luoghi giusti. Inoltre sa far viaggiare:
c'é infatti l'immagine del gregge in sosta su pascoli erbosi e c'é quella del
gregge in movimento, guidato per sentieri giusti, per piste che portano a
buon fine (similmente come le guide turistiche che portano a visitare il
deserto). In questo viaggio si può anche "camminare in una valle
oscura" (pensiamo per un istante al deserto di Giuda e alle sue valli pietrose,
incassate, dirupate, molto pericolose se di notte ci si perde e se
inciampando, si cade in qualche baratro!), il pastore del salmo sa guidare
pure in una valle oscura, di notte. Le immagini si
moltiplicano: quella del bastone e del vincastro. Probabilmente per bastone
si intende una mazza corta e adatta a difendere il gregge; il vincastro
invece, è quello che oggi è il pastorale del Vescovo, un bastone lungo e
ricurvo, su cui il pastore si appoggia, che serve per appendervi il sacco o
per tastare il terreno, per tenere lontani i cani randagi. Una metafora molto
pittoresca, che evoca tutto quanto il pastore fa per amore del suo gregge,
per condurlo; ed è ciò che il Signore fa per ognuno. Seguono le immagini
conviviali: "davanti a me tu prepari una mensa". Figuriamoci di
trovarci sotto una tenda (chi ha fatto campeggio se ne può rendere conto), su
una stuoia stesa per terra, e su un tavolo basso vassoi con cibi succulenti,
che si prendono con le mani, si mette un poco di focaccia in una salsa e vi
si intingono bocconcini di carne; figuriamoci di godere ore e ore in questa
cena in comune, fraterna e allegra. Non solo, prima che la cena abbia inizio,
l'ospite che ha invitato cosparge di profumo, "cosparge di olio il
capo", proprio come ha fatto Maria di Betania quando Gesù entra nella
sua casa. Sulla mensa c'é anche una coppa, un calice traboccante di vino
spumeggiante, che dà brio e vivacità. Le immagini conviviali
sfociano nell'immagine della casa del Signore: "abiterò nella casa del
Signore per lunghissimi anni"; la tenda ospitale diventa, a un certo
punto, il tempio, la casa di Dio (dove c'é accoglienza e amicizia, c' é Dio),
dove si è veramente a casa. Ma potremmo soffermarci
anche su altre metafore. Per esempio, che cosa
significa "acque tranquille"? Evidentemente non soltanto pozze di
acqua da cui si beve in pace e senza pericoli; in realtà, è evocato un
cammino di pace, un cammino spirituale verso la pace interiore, dove ci si
ristora alla fine di un viaggio pericoloso, irto di difficoltà (il mondo e
l'efficienza materialistica). E ancora, cosa
significa "valle oscura, tenebrosa"? Non si tratta soltanto di un
abisso dove non giunge la luce, dove la notte è fonda; nella psicologia della
persona umana, è piuttosto la paura del buio,della morte, quella paura che affiora
nella coscienza e che non si placa, a meno che non venga una voce dall'alto a
portare parole di conforto. Passando alla
meditazione, riformuliamo la domanda iniziale pensando a noi: qual è il
messaggio del salmista per me, per te, per noi tutti? Che cosa dice questa
poesia religiosa oggi? Cerchiamo ancora una
volta le parole chiave del messaggio, che a mio avviso sono quattro: - non manco di nulla; - tu sei con me; - mi dai sicurezza col
tuo bastone e il tuo vincastro; -
abiterò nella casa del Signore. -
Ecco il messaggio di
fiducia: Signore, io non manco di nulla perché tu sei con me, mi dai
sicurezza e abito nella tua casa. Cari fratelli e sorelle, per potere dire
sul serio queste parole, è necessario chiederci su chi cadono, e la risposta
al quesito per me è ovvia: cadono oggi su cuori sofferenti, sulle nostre
ansietà, sulle nostre paure, sulle nostre insicurezze, sulle nostre miserie e
debolezze umane che ci rendono schiavi di noi stessi. Amen, alleluia,amen. |
SALMO 50 "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nel tuo
grande amore cancella il mio peccato. Lavami da
tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Riconosco la mia colpa, il mio
peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te,
contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto;
perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio. Ecco, nella
colpa sono stato generato, nel peccato mi ha generato mia madre. Ma tu vuoi
la sincerità del cuore e nell'intimo mi insegni la sapienza. Purificami
con issopo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire
gioia e letizia; esulteranno le ossa che hai spezzato. Distogli lo sguardo
dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe, Crea in me, o Dio, un cuore
puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e
non privarmi del tuo Santo Spirito. Rendimi la gioia di essere salvato,
sostiene in me un animo generoso. Insegnerò
agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno. Liberami dal sangue,
Dio, mia salvezza, la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le
mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode, poiché non gradisci il
sacrificio e se offro olocausti, non li accetti. Uno spirito contrito è
sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi. Nel tuo amore
fa grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici
prescritti, l'olocausto e l'intera oblazione, allora immoleranno vittime
sopra il tuo altare". Davide scrisse il salmo
dopo che Natan, il profeta, lo aveva chiamato a rendere conto del suo
adulterio con Betsabea e dell'omicidio del marito di lei (2Sam.11-12). Pieno di angoscia,
Davide si rivolge a Dio e implorandolo gli chiede misericordia, quell'amore
particolare, pieno di dolcezza che è presente nel cuore di Dio e spalanca la
porta della riconciliazione con lui. La misericordia è la capacità di Dio di
"fare l'impossibile" per offrire il perdono, la salvezza e l'amore
al peccatore pentito. Infatti è a questo amore speciale di Dio che Davide fa
appello con successo, anche perché se non fosse stato consapevole di questa
divina misericordia, avrebbe potuto rimanere schiacciato sotto l'immane peso
della sua colpa. Pochi salmi come questo
sono serviti ad esprimere i sentimenti dell'essere umano peccatore davanti a
Dio. Il riconoscimento del proprio stato di peccato segna l'inizio della
conversione interiore. L'interiorità, luogo decisivo per l'uomo nel cammino
verso la verità, è la capacità di rientrare in se stessi, di comprendere il
senso delle azioni compiute e che si compiono, perché soltanto nell'intimo si
possono valutare e giudicare. E l'esperienza attesta
che c'é un nesso inscindibile tra la conversione del cuore e la
riconciliazione sociale e politica. Non ci può essere una vera, duratura,
stabile riconciliazione sociale e politica tra gli uomini, i popoli, le
nazioni senza una conversione del cuore (per meglio comprendere questa
tematica, rileggere nella sezione meditazioni "L'amore di Dio" e "La
salvezza"). Generazioni di essere
umani (lo scrivente stesso) hanno trovato in esso la via che conduce alla
casa del Padre, la grazia di una purificazione che non può venire se non
dalla Parola di Dio e la gioia dell'amicizia con il Signore, La preghiera è
di una ricchezza inesauribile e attraversa tutta la storia della Chiesa e
della spiritualità: costituisce i gradini di una scala che ci porta verso
l'alto, vi è in ognuno di essi una grazia soprannaturale che ci sospinge
fuori dalle acque stagnanti del peccato verso un'atmosfera spirituale e
divina, per farci respirare e vivere in quel modo nuovo che Dio ricrea
attorno a noi man mano che lo invochiamo con le parole che egli stesso ci
suggerisce. Poche volte, il senso
del peccato e della sua intima malizia ha trovato più adeguata espressione.
Infatti il primo passo sulla strada della conversione è la conoscenza di sé,
e Davide l'ha veramente raggiunta. Non si tratta di un dispiacere momentaneo
di chi poi se ne va scordando quello che è successo. Si tratta, come potete
ben comprendere, di quel profondo shock causato dalla effettiva conoscenza di
se stessi; è lo shock della consapevolezza della propria responsabilità
davanti a Dio e nei confronti del prossimo. La prima parte del
salmo è il riconoscimento di una situazione. Osserviamo i verbi, sono tutti
all'indicativo ed espongono, sottolineano dei fatti: riconosco la mia colpa,
contro di te ho peccato, sei giusto quando parli, nell'intimo mi insegni la
sapienza. La seconda parte
esprime la supplica. Qui la preghiera cambia di tono e quasi tutti i verbi
sono all'imperativo: purificami, lavami, fammi sentire gioia, distogli lo
sguardo, cancella, crea in me, non respingermi, non privarmi, rendimi la
gioia, sostieni in me. La terza parte tratta
di un progetto per l'avvenire e i verbi sono al futuro: insegnerò, la mia
lingua esalterà, gradirai. I primi versetti ci
introducono con queste parole: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua
misericordia; nel tuo grande amore cancella il mio peccato. Lavami da tutte
le mie colpe, mondami dal mio peccato". Ecco, vedete, il punto di
partenza del cammino di conversione del cuore è dunque l'iniziativa divina di
misericordia: Dio è sempre il primo a dare la mano, il piatto della bilancia
pende sempre dalla parte della sua bontà. Inoltre si tratta di un'esplosione
del sentimento che ogni peccato è un'offesa a Dio, una separazione e un
allontanamento da lui, una condanna del peccatore e che Dio solo può
purificare il colpevole e ridonargli la vita e la gioia serena della
coscienza con l'effusione del suo Spirito (Vedi meditazione "La
riconciliazione"), ricreando in lui una nuova esistenza. Emerge anche in
questi primi versetti che la riparazione della colpa deve essere compiuta con
un atto interiore di umiltà, di fiducia e di contrizione che risani il cuore
(vedere in prossima pubblicazione la preghiera del perdono). Ai vocaboli che
indicano lo sbandamento dell'uomo, "peccato....colpe", fanno
riscontro tre appellativi divini: "Pietà...misericordia...amore". Tutto
ciò mette in evidenza che l'insistenza non è sull'uomo colpevole, sulla
povertà di ciò che noi tutti siamo, ma è sull'infinità di Dio. "Pietà di me, o Dio".
Si chiede a Dio che sia per noi grazia , che prenda interesse a chi sta male,
a chi si trova in difficoltà. Dio è l'essenza gratuità e quando diciamo che
Egli non può avere alcun interesse a pensare a noi, a occuparsi di noi,
riveliamo di avere un'idea falsa di Dio. Dio è felice e gode nel potere
donare qualcosa a chi ha bisogno di essere sostenuto, a chi non si sente
nessuno, a chi si sente in basso simile a un paria; vuole versare il suo
valore in noi e non giudica il nostro. "Secondo la tua misericordia".
E' interessante osservare che l'espressione è appunto: secondo la tua
misericordia, non "nella tua misericordia" o "perché sei
misericordioso". La preghiera ci indica la proporzione infinita della
misericordia divina, che l'uomo intuisce senza comprenderla. Sappiamo però
che si fa più tenera quando siamo deboli, fragili, peccatori, incostanti, e
forse pensiamo che Dio ha ragione a non ricordarsi di noi. "Nel tuo grande amore".
Il versetto è profondamente materno e designa la capacità di immedesimarsi in
una situazione così da viverla nella propria carne, da soffrirne o goderne di
cosa propria. Questo attributo di Dio può essere un poco capito da chi ha
amato un'altra creatura con un amore totale, viscerale, coinvolgente,
appassionato e per sempre. Potremmo quasi tradurre: "secondo la tua
grande passione per l'uomo, abbi misericordia, o Dio". Queste tre invocazioni
e attribuzioni ci danno il tono del salmo 51 (Miserere) che è un inno ad
incontrare Dio così com'é; ci invita anzitutto ad avere una giusta idea del
volto di Dio. Il riconoscimento della colpa.
"Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di
te, contro te ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho
fatto......Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito
mia madre. Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell'intimo mi insegni la sapienza".
Dopo avere considerato le tre attribuzioni di Dio, ci soffermiamo sui tre
soggetti che vengono presentati in azione. Il soggetto che appare più di
frequente è la stessa persona: l'io. Io riconosco la colpa, io ho peccato
contro di te, io ho fatto quello che è male. Un altro soggetto, in terza
persona, è il peccato (personale, sociale o collettivo). Il peccato e la
realtà del peccato in cui l'uomo si sente inserito: nel peccato sono stato
generato, nella colpa mi ha generato mia madre. Il terzo soggetto
dell'azione, quello determinante, la chiave per capire tutto il significato
del brano è il "Tu". C'é quindi l'io che
riconosce, c'é una determinazione generale della situazione di colpa, c'é il
Tu che è il punto focale: Tu vuoi la sincerità del cuore, Tu nell'intimo mi
insegni la sapienza. Nel testo ebraico l'espressione "Tu vuoi la
sincerità del cuore" è più difficile: "Tu ami la verità
nell'oscuro", cioè Tu ami la verità, che è la luce, anche là dove l'uomo
è perduto nei meandri della sua coscienza. "Tu mi insegni la sapienza
nel segreto". La sapienza è una delle realtà più alte e più profonde
dell'Antico Testamento: essa è ordine, proposizione,luminosità, calore
creativo, progetto divino di salvezza. Ecco la chiave della
prima parte del salmo; Dio, nella sua iniziativa di amore e misericordia,
proietta nell'oscurità della psiche di ognuno, nel profondo della coscienza,
la luce del suo progetto. Così facendo ci porta a scoprire la verità su noi
stessi, ci dà respiro, ci aiuta a coglierci rispetto a ciò che siamo chiamati
a essere, a ciò che avremmo dovuto essere, a ciò che possiamo essere con la
sua grazia. La verità e la sapienza
di Dio sono luce autentica, benefica, amichevole che, entrando nelle pieghe
dell'anima dove neppure noi stessi ci rendiamo conto di ciò che succede, ci
istruisce e ci sospinge alla sincerità e all'autenticità di quello che
veramente siamo. Ora, se abbiamo inteso,
almeno un poco, la forza di queste parole, possiamo meglio leggere quelle che
si trovano poco sopra: "Contro di te, contro te solo ho peccato".
Cioè, ho fatto ciò che non va davanti a te. E a prima vista ci pare strana
questa espressione, se ben ci pensiamo, soprattutto se la riferiamo a colui
che, storicamente, è ritenuto l'emblema della vicenda raccontata nel salmo, ossia
Davide e al suo peccato. Altro, si direbbe, che peccare contro Dio soltanto!
Davide ha peccato contro un suo fratello, un amico; lo ha fatto morire
slealmente, gli ha preso la moglie, è stato dunque omicida e traditore. Eppure l'insistenza è
sul rapporto con Dio, che attraverso quelle azioni si è instaurato. Facciamo
attenzione, qui si vuole esprimere qualcosa che emerge dalla storia di
Davide. In realtà, nessuno conosceva il peccato di Davide, tanto bene era
riuscito il suo tessuto di inganni, ed è solo il profeta Natan che glielo
rinfaccia. Tuttavia, quando gli vengono apertamente dichiarati gli intrighi
che ha fatto, Davide è posto di fronte alla verità terribile della sua
coscienza. Peccando contro l'amico
con il tradimento, con l'infedeltà e con l'adulterio, Davide si è messo
contro Dio e contro tutti coloro che Dio difende come cosa sua. Ricordiamo
che il re Davide era un uomo profondamente buono, incapace di voler male ai
nemici; era profondamente leale, anzi la sua integrità e la sua lealtà sono
rimaste proverbiali nella storia di Israele. Al momento del suo incontro con
Betsabea, moglie di Urìa, era un uomo maturo, non privo di esperienze
affettive e, a questo punto della sua vita, aveva già avuto quello che
voleva, conosceva i suoi limiti, la debolezza umana. Nondimeno, attraverso
una serie di circostanze, l'eroe Davide diventa sleale, infedele, traditore.
Nel secondo libro di Samuele, alla fine del capitolo 11, un capolavoro della
letteratura, leggiamo: "Ma l'azione che Davide aveva commesso dispiacque
al Signore" (v.27). Il profeta Natan si presenterà e gli racconterà la
storia di due uomini, uno ricco e l'altro povero. La parabola a poco a poco
ricostruisce la verità in Davide che confessa: "Ho peccato contro il
Signore". "Contro di te, contro te solo ho peccato". L'espressione
è molto simile alla parola centrale della parabola evangelica del figliol
prodigo: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te". Tutto
ciò che il figlio ha fatto riguarda tante altre cose: la sua vita dissoluta,
il suo sperpero, tutti gli errori, tutte le soperchierie da lui commesse, gli
illeciti vissuti. Tutto questo però viene riassunto nel suo rapporto col
padre; nel suo rapporto con Dio. L'uomo, istruito da Dio, entra nel fondo
della propria verità, riconosce il dialogo che il suo sbaglio, in sé e
attorno a sé, piccolo o grande che sia, ha leso l'immagine di Dio, ha leso il
suo rapporto con Dio. Il richiamo è
importante per noi che siamo giustamente abituati a sottolineare gli aspetti
sociali del peccato: il peccato cioè non è soltanto contro Dio, tocca la
Chiesa, disgrega la società, ferisce la comunità. Qui ci viene ricordato che
Dio sta dietro a ogni uomo, a ogni persona che noi trattiamo male, che
inganniamo o disprezziamo. Ci mettiamo contro Dio tutte le volte che
respingiamo il fratello o la sorella che ci stanno vicino e che attendono da
noi un gesto di carità o di giustizia. Tutti i problemi della storia, il
problema etico, il problema della giustizia, della pace, il problema dei
giusti rapporti familiari, personali, sociali sono il problema dell'uomo nel
suo dialogo con Colui che lo ama, lo conosce e lo aiuta a conoscersi nella
sua verità. Non viene, infatti,
detto: ho peccato, sbagliato. Viene detto: "Contro di te ho
peccato". La personalizzazione della colpa è insieme un atto di profonda
verità e un atto di estrema chiarezza perché questo riconoscimento dell'uomo
che parla così, che è educato a parlare così, non ha nulla a che fare con il
senso deprimente e avvilente della colpa. Tutti noi siamo soggetti
a momenti di tristezza senza uscita, di ira, di sdegno, di vendetta contro
noi stessi: sofferenze inutili generate dal senso di colpa che non è vissuto
in un dialogo con Dio, sofferenze che non possono renderci migliori. Le
parole del salmo ci rivelano la differenza tra l'esame di coscienza fatto in
dialogo con Dio e tutta l'analisi della colpa, delle debolezze, delle
bassezze che ciascuno riconosce in se stesso e che arrivano a deprimere
profondamente lo spirito rendendolo ancora più stanco e incapace di lottare.
In questo salmo, scritto più di duemila anni fa, noi cogliamo l'uomo che ha
trovato la via giusta per il pentimento, la via del riconoscimento di colpe
gravissime ma espresso davanti a Colui che cambia il cuore dell'uomo. Notiamo
anche il carattere personale, affettivo, delle parole: "Quello che è
male ai tuoi occhi". Ai tuoi occhi, al tuo amore che mi ha creato,
fatto, amato. progettato. Come è diversa questa realtà da quella dei
cosiddetti "pentiti" giudiziari! Il pentimento giudiziario può
certamente produrre vantaggi umani per la collaborazione a cui induce, ma non
ha la forza di purificare le coscienze dal sangue versato. Il
"pentito" dovrà ancora dire: "Il mio peccato mi sta sempre
dinanzi". A meno che non entri in quel misterioso processo di
trasformazione del cuore umano che fa l'uomo totalmente diverso: "Crea
in me, o Dio, un cuore nuovo!"; il processo di trasformazione che è
affidato alla potenza di Dio e che permette un'esistenza nuova. Dobbiamo anche provare
dolore per i peccati: "Sei giusto quando parli, retto nel tuo
giudizio". La parola dolore può evocare in noi una sensazione di disagio
o di insoddisfazione. Eppure, nel campo delle esperienze corporee, il dolore
è la più inevitabile, la più evidente, la meno artificiale delle sensazioni:
sento un dolore nel corpo, malgrado non lo voglia. Gli stessi dolori morali
sono qualcosa di molto reale dentro di noi: a volte ci opprimono fino a
toglierci il sonno. Facciamo qualche riflessione generale. Ci
sono degli atti, più o meno gravi, che ciascuno vorrebbe non avere compiuto.
Ci sono dei comportamenti, magari poco appariscenti, che non corrispondono a
come ciascuno vorrebbe essere: modi di fare, di pensare, di rispondere, di
agire. Talvolta ci accorgiamo che non dipendono nemmeno da noi, sono
piuttosto il frutto di precedenti abitudini, di sorpresa, di inavvertenza.
Tuttavia hanno qualche aspetto di cui interiormente sentiamo di non poterci
vantare. Questa capacità di giudizio su di sé non è ancora il dolore dei
peccati: ne è la premessa. Infatti non posso pentirmi se non di qualcosa che
insieme è mio e non va, l'ho fatto e non l'approvo. Il cammino della
purificazione cristiana presuppone la capacità di giudizio di sé, implica una
dissociazione da qualche aspetto di noi che non approviamo. Sapere fare
questo è un segno di libertà in cammino, è un segno di maturazione umana e
morale. C'é da dubitare di una persona che accusa sempre gli altri e che è
soddisfatta di sé in tutto. Se siamo pronti ad accusare gli altri e a scusare
noi, riveliamo di non avere compiuto nemmeno il primo passo verso il
pentimento cristiano. E d'altra parte è vero che il nostro pentimento è a
volte bloccato dal fatto che non siamo convinti fino in fondo di dover
imputare a noi stessi qualcosa che in noi non va. Non ci sentiamo di
ammettere del tutto che la colpa è nostra. Più di frequente il
pentimento è bloccato perché non siamo per nulla convinti che quello che
abbiamo fatto non andava fatto; magari la tradizione e la dottrina dicono che
è sbagliato ma interiormente sentiamo che non è vero. In questo caso il
dolore, il pentimento diventa faticoso, superficiale, artificiale. Ma allora
che cosa dobbiamo fare se ci accorgiamo che il nostro pentimento non si
scioglie, che è bloccato da questi motivi che riguardano il giudizio
preliminare su noi stessi? E' chiaro che il cammino da compiere è il
passaggio da una valutazione frettolosa di noi a una valutazione più
realistica e ponderata, attraverso la riflessione e la preghiera. Ma ritorniamo al
versetto 6 del salmo: "Sei giusto
quando parli, retto nel tuo giudizio". Noi lo interpretiamo
spontaneamente mettendo Dio al posto di un giudice; vediamo idealmente due
parti convenute in giudizio e Dio nel mezzo. Le due parti sono, nel caso del
riferimento storico del salmo, Davide e Uria, il marito di Betsabea ucciso
proditoriamente per ordine di Davide. Dio sta nel mezzo come giudice
imparziale che dà torto a Davide e lo condanna. Il Re accetta la condanna e
allora dice a Dio: Tu sei retto quando giudichi. Nondimeno questa interpretazione
non è cogente. Essa pone Dio come arbitro che condanna il peccatore alla
morte, senza possibilità d'appello. La realtà vissuta dal salmo è molto più
profonda. Dio non è giudice: è la parte lesa. Egli, che è il principio di
ogni fedeltà e do ogni amore, è stato leso mortalmente da Davide, è stato
violentato nei suoi diritti. Per questo rimprovera Davide e questi accetta il
rimprovero sapendo che il giudizio divino è giusto ed è quindi anche un
giudizio di perdono. Dio, come parte offesa, redarguisce Davide perché vuole
la sua vita e non la sua morte: se ha tentato di uccidere Dio, Dio lo vuole
salvare. E' propriamente a questo punto che scatta il pentimento biblico, il
dolore dell'uomo: l'uomo si trova davanti Colui che ha leso, di cui ha
respinto la fiducia e che di nuovo gli offre la mano destra della sua
fiducia. Se noi ci chiediamo in
quale maniera l'offesa fatta al prossimo raggiunge e lede Dio, Egli ci
risponde con alcune parole dal Libro dell'Esodo, nella visione del roveto
ardente. Il Faraone opprime gli Ebrei e Dio, apparendo a Mosé, si costituisce
parte lesa e inizia la sua azione contro l'oppressore con queste parole: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito
il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue
sofferenze. Sono disceso per liberarlo" (Es.3,7-8). Ci risponderà ancora il
Vangelo di Matteo, nella scena del giudizio universale, dove Gesù si
costituisce parte lesa ovunque un affamato non è nutrito e un carcerato non è
visitato: "In verità vi dico.....non
l'avete fatto a me" (Mt.25,31-46). C'é anche un brano del
Vangelo di Luca che ci può fare cogliere più profondamente l'esperienza del
dolore del peccato che abbiamo colto nelle parole di Davide. Si tratta
dell'episodio di Pietro che per tre volte ha negato di conoscere Gesù: "In quell'istante mentre ancora parlava, un gallo cantò.
Allora il Signore, voltandosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle
parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi
mi rinnegherai tre volte". E uscito, pianse amaramente"
(Lu.22,54-62). Perché Pietro scoppia
in pianto? Fino a quel momento aveva una certa coscienza, anche se un po'
annebbiata, di avere fatto una cosa sbagliata, di essersi disonorato, di
avere tradito un amico. Ma è solo quando Gesù lo incontra e lo guarda che
Pietro scoppia in pianto. In quel momento realizza una cosa sola: io ho
rinnegato quest'uomo e lui va a morire per me! E' la sovrabbondanza
incredibile di fiducia e di attenzione a chi l'ha demeritata, che fa scattare
il contrasto. Il dolore cristiano nasce dalla percezione di questo contrasto,
nasce dall'incontro con Colui che, offeso in sé e nel suo amore per l'uomo,
offre, come contraccambio, uno sguardo di amicizia. La rivelazione della
colpevolezza del cristiano viene dall'incontro con Cristo, con la sua Parola
e con la sua persona. Questo incontro sblocca la rigidità del giudizio su di
noi, giudizio sempre incerto e impacciato, e la scioglie in un vero
pentimento, nel dispiacere interiore di avere offeso Gesù nella sua persona;
nel dispiacere per la scorrettezza del nostro rapporto di amicizia, per
l'infrazione del codice d'onore e di tenerezza, per la disattenzione e il
disprezzo di un rapporto prezioso. Dopo la confessione della colpa, come abbiamo analizzato, il peccatore rinnova la domanda della purificazione interiore, che soltanto Dio può concedere, e che arrecherà la gioia di una vita nuova. I termini usati dal salmista per ottenere la purificazione si rifanno al rituale in uso nella liturgia ebraica. In seguito, con la
purificazione della colpa, il peccatore chiede a Dio che lo rinnovi
interiormente e crei in lui un cuore puro e uno spirito saldo e generoso;
perché possa perseverare nel bene. Non solo, egli si impegnerà per far
ritornare altri peccatori sulla retta via, proclamerà la giustizia e la lode
del Signore e offrirà a lui il sacrificio del suo cuore affranto e umiliato:
sacrificio umile, ma certamente più gradito a Dio dell'olocausto di animali. La preghiera si conclude
con la speranza della ricostruzione delle mura di Gerusalemme e per la
restaurazione del culto divino. Pare che la supplica finale sia stata
aggiunta per l'uso liturgico dopo l'esilio, quando Israele implorava con
questo salmo il perdono di Dio sui suoi peccati. Amen,alleluia,amen. |
SALMO 62
A TE SI STRINGE L'ANIMA MIA O Dio, tu sei il mio Dio.
All'aurora ti cerco, Commento L'esclamazione "O
Dio, tu sei il mio Dio", ci prefigura colui con il quale iniziamo una
relazione personale, l'impegno cioè di un'intimità profonda. Se siamo
attenti, inizialmente l'espressione citata è qualcosa di vago, ma nel momento
in cui la preghiera si interiorizza, s'intensifica il senso d'appartenenza e
d'alleanza a Dio. Ciò comporta come conseguenza l'acquisizione di un
sentimento di sicurezza e di fiducia, nella consapevolezza di essere amati
personalmente dal Signore. Ed è a questo punto che l'esigenza iniziale
dell'orante è riconosciuta come l'ardente desiderio di stare unito a Dio. Personalmente, mi piace
chiamarlo "A te si stringe l'anima mia"; perché tutto ciò che è
dell'uomo, anima, spirito e corpo, è assetato del Signore. I primi due versetti
rappresentano la supplica individuale i seguenti quattro, esprimono fiducia
ed azione di grazie, proprio come negli stadi della preghiera di lode
(adorazione, lode e azione di grazie). Infine gli ultimi due rappresentano la
risposta del Signore, anche se a dichiararlo è colui che parla. Come possiamo notare si
tratta di un monologo di speranza, di fiducia, di grazie espressi
affettuosamente rivolti al Signore, proprio come fa un bambino col padre o la
madre. E' un momento di gioia perché come il pio israelita provava grande
felicità nello stare presso il Tabernacolo ed era sotto la potente e soave
protezione del Signore, similmente quale e quanta dovrebbe essere quella del
cristiano che vive vicino alla sua chiesa , dove Gesù è presente sotto i veli
Eucaristici? Che dire poi, quando siamo accanto a Gesù durante la Messa?
Oppure durante le lodi e le preghiere giornaliere? Diversi sono i temi e i
punti su cui insiste il Salmo: Amore, veglia notturna. La preghiera considera
il tempo che intercorre dal mattino alla notte, dal desiderio al possesso.
Vale a dire che il mattino l'anima urla la sua sete; nel momento in cui
scende la sera, "essa si stringe al suo Signore". Cioè ha trovato
Dio, dopo un lungo cammino. Un itinerario che va dal Santuario (Chiesa), al
convito (Eucaristia), all'ombra delle sue ali ("Io sarò con voi fino
alla fine del mondo"). Sono tre parole che rappresentano la comunione con
Dio e con i fratelli e le sorelle in Cristo, cioè che vanno dal sacramento a
ciò che esso significa per tutti i credenti. Quante volte nel silenzio della notte, nel segreto della
meditazione, colui che parla è unito a Dio come se si trovasse ammesso alla
parte più sacra del suo essere, avvolgimento della presenza di Dio che sembra
far ardere il cuore di una gioia indescrivibile che vorrebbe gridare al mondo
intero. Solo i mistici e coloro
che tutto confidano in Dio sanno unire gioia e sofferenza, tribolazione e
pace, perché il centro della loro esistenza si trova in Dio. Da lui attingono
felicità, pace e la forza di fronteggiare la sofferenza (la beatitudine). La
pena più profonda dell'anima umana è il desiderio ardente di Dio, dell'infinito,
della fonte ultima della vita e dell'amore. Il dolore intenso e profondo è
avvertito da ognuno, più o meno consapevolmente; e la vita di chiunque è
indirizzata verso il bene o il male secondo come reagiscono alla sofferenza
(sono le due scelte di cui parlava il Papa Giovanni XXIII). Purtroppo oggi, nella
società del consumismo, molte, troppe persone, anche tra coloro che si
professano cristiani, non la identificano e anzi soffocano la sete
d'infinito, adeguandosi ai piaceri materiali o alla ricerca del successo, del
potere, o alla degenerazione di sensazioni insolite che conducono
inevitabilmente alla violenza; tuttavia, nulla di tutto ciò soddisfa e
riempie il vuoto interiore, quella sete del trascendente che l'uomo non sa
placare. Ora, fratelli e
sorelle, rileggiamo il salmo, provando alla gioia dell'amore personale di Dio
per ognuno, così che la lode sorga spontanea dal profondo dell'anima e dello
spirito esprimendolo attraverso la felicità interiore, confessando con le
labbra e contemporaneamente anche il corpo, che ne è partecipe, perché viene
naturale esprimere la gratitudine a Dio innalzando le mani insieme al cuore. Amen,alleluia,amen. |
SALMO 3 PREGHIERA
NEL PERICOLO Signore, quanti sono i miei
oppressori! Commento In 2
Samuele 15,7-23 e 30-37, ci è presentato uno dei momenti più drammatici e
tormentati dell'esistenza del re David: suo figlio Assalonne capeggiava una
rivolta contro di lui, riuscendo nell'impresa di conquistare una parte di
Israele. Per impedire l'assalto di Gerusalemme, con gli inevitabili lutti e
rovine, giacché la città era rimasta fedele al suo re, egli decise di fuggire
coi suoi familiari. Era accompagnata da seicento soldati che si erano
rifiutati di unirsi alla rivolta. Durante la fuga raggiunse il Monte degli
Ulivi, e David era più simile ad un pellegrino scalzo, piangente e con la
testa coperta in segno di lutto, anziché un fiero re. Tutto
ciò era stato profetizzato da Natan, come punizione di Dio a causa del
peccato di adulterio commesso con Betsabea e per l'assassinio di Uria
l'Hittita, il marito di lei. Se
analizziamo attentamente la storia, mi viene spontaneo recepire la lezione
morale che se ne ricava per tutti noi credenti odierni. Molte persone trovano
nel loro stato di peccatori una scusa per allontanarsi maggiormente da Dio,
perdendo l'occasione di sperimentare sulla propria pelle quanto
misericordioso e pieno d'amore Egli sia. Il
Salmo lo possiamo considerare diviso in tre momenti: 1.
Descrizione
della situazione (versetti 2-3); 2.
La
sicurezza e la liberazione dalla paura stanno in Dio, nel Dio che risponde
(versetti 4-7); 3.
L'orante
chiede a Dio di salvarlo (versetti 8-9). Che
cosa ci dice la preghiera? Quali sono i nostri avversari? Se volgiamo lo
sguardo attorno a noi ce ne rendiamo conto: TV spazzatura, mass-media che
incessantemente ci bombardano in continuazione, materialismo,
consumismo…Sembra che tutti cooperino contro il regno di Dio, pare che Dio
sia morto nella coscienza degli uomini, realizzando un indifferentismo ed efficientismo
ateo che scatena le lusinghe delle tentazioni e dei peccati (vedi
meditazioni: "Le tentazioni"). Ecco
perché il Salmo 3 è attuale e ci viene in aiuto confortandoci. Similmente ci
troviamo nella stessa situazione del re David, la differenza sta nell'oppressore,
oggi più sottile e astuta. Il fatto è che quando percepiamo che il peccato ci
soverchia, accusiamo un senso di terrore, d'impotenza e di malessere. Non
sappiamo più cosa fare e come agire. Se confidassimo i nostri sentimenti a
persone non giuste, correremmo il rischio di sentirci affermare che non c'è
più scampo, che tutto è finito. Invece, la parola fine, nei confronti
dell'uomo, solo Dio la può dire. Ma
come il re David, in virtù della grazia che c'è stata donata, ci riaccorgiamo
del male che ci accerchia opprimendoci, ed è allora che fiduciosi nel divino
aiuto, ci rincuoriamo perché il Padre celeste ci sostiene tramite Gesù,
facendoci trionfare e liberare dalla schiavitù delle nostre debolezze e paure
umane. Infatti, quando il regno degli uomini ci abbandona ai nostri problemi,
è in quell'istante che scopriamo chi è il nostro unico e vero amico, fratello
sempre fedele. E' allora che sgorga spontanea la preghiera dell'intimo, con
lacrime di disperazione, e troviamo ad attenderci a braccia aperte Lui, il
nostro Signore: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed
oppressi, e io vi ristorerò". Il
Padre celeste, in Cristo Gesù, non si allontana dalla "lebbra"
delle nostre miserie, dei nostri peccati, ma, anzi, ci accoglie sempre con
amore. Non
scordiamo inoltre un fatto molto importante, non siamo soli. La nostra
preghiera si unisce a quella della moltitudine dei fratelli e sorelle sparsi
nel mondo. Ed è in questo modo che il Dio della salvezza benedice il suo
popolo donandogli la pace. Amen, alleluia, amen! |
SALMO 4 PREGHIERA DEL GIUSTO Quando ti invoco, rispondimi,
Dio, mia giustizia: Commento Il salmo esprime la
fiducia in Dio che tranquillizza lo spirito, l’anima e il corpo dell’uomo. E’
così suddiviso: ·
Versetto 2 : La fiducia presente è basata
sulla preghiera esaudita nel passato; ·
Versetti 3-6 : Reprimenda seguita da un
comando: ·
Versetti 7-9 : Descrivono la gioia e la
pace che nulla può scuotere. Questa preghiera sfugge
ad una classificazione precisa per il suo carattere particolarmente personale
e spontaneo: tuttavia il suo tema principale è quello della confidenza con
Dio il quale va incontro a chi lo cerca con fede e ascolta la supplica dei
suoi fedeli. Il salmo è meraviglioso
e si rivolge a quanti sono demoralizzati, delusi. Depressi, disperati,
impauriti, insoddisfatti a causa della difficile situazione sociale e
nazionale. L’orante raggiunge la vera pace dell’anima, dello spirito e la
tranquillità del corpo grazie alla sua incrollabile fiducia in Dio. Come gli Ebrei
dell’Esodo avevano imparato e capito di elevare suppliche a Dio affinché li
salvasse, anche Davide, insidiato dal figlio Assalonne, scongiura Dio di
vendicare il suo giusto diritto. Già confortato dal Signore, lo prega di
essere esaudito. Il ricorrere a Dio per ottenere giustizia è gradito a Dio.
Infatti, Egli non vuole che ci facciamo giustizia da noi stessi. Pregato e supplicato
Dio, Davide si rivolge ai principi e ai potenti che, invece di parteggiare per
la giustizia, si sono schierati dalla parte del ribelle Assalonne. Davide
inveisce mettendoli in guardia. Devono stare attenti poiché Dio, come nel
passato, correrà in sua difesa. Quindi evitino di macchiarsi di qualsiasi
delitto. Al contrario meditino giorno e notte sulla giustizia di Dio, e
offrano sacrifici d’espiazione. Soltanto in quel modo potranno sperare nella
divina misericordia. Il salmo inizia con
un’accorata invocazione a Dio come Redentore, come colui che ha manifestato
la sua profonda giustizia attraverso il suo progetto di salvezza. I malvagi,
i perversi, tutte le invenzioni dell’uomo tendenti a cancellare dalla memoria
l’esistenza del divino, non conoscono le meraviglie che Dio compie per i suoi
figli, specialmente per quelli che gli sono fedeli. Nulla sanno della gioia e
della pace del cuore, e neppure della pienezza di una vita ricca di frutto e
d’amore. Ignorano l’intima comunione con Dio, in Cristo Gesù, e della
felicità di ottenere risposta alle proprie preghiere. |